Descrizione
Un dialogo ideale tra Annita e il proprio padre Sante Garibaldi, fondato sui risultati di una pluridecennale ricerca storica che dettaglia in molteplici direzioni la più scarna autobiografia redatta da Sante alla vigilia della morte, sopraggiunta il 4 luglio 1946 quale conseguenza delle privazioni sofferte durante la prigionia in diversi centri carcerari di Francia e Germania e da ultimo nel lager di Dachau.
Un racconto, quello di Sante, che la penna sapiente di Annita allarga alla sfera del familiare e del privato, alle sue esperienze e vocazioni civili, non meno gratificanti di quelle militari, e al suo modo peculiare di incarnare il modello di “tradizione garibaldina” assegnato in destino da Ricciotti Garibaldi ai suoi sette figli maschi. Un racconto articolato secondo le diverse fasi della biografia diSante e a tratti interrotto dall’entrata in scena di Annita-figlia, che via via commenta, chiarisce contesti ed esplicita, dopo tanto ricercare, anche e specialmente sui rapporti famigliari, quegli interrogativi che con struggente nostalgia di un’assenza-presenza per una vita intera le sono scaturiti nella mente e nel cuore: interrogativi cui, da storica, non può “inventare” risposte dirette (di qui l’impressione di un dialogo asimmetrico), che è però tutto lo svolgimento del libro a lasciare intuire.
L’intreccio delle testimonianze di un Padre e di una Figlia le cui vite si sono spese nel culto dell’ideale di un’Europa libera e solidale, unita da una meta comune di pace e di progresso, quale la invocava l’Eroe dei Due Mondi già alla vigilia dell’Unità, mostra il proseguire lungo una via non più militare e non più solo maschile di una tradizione di rigore civile e di fedeltà ai valori del repubblicanesimo che ben può continuare a dirsi “tradizione garibaldina”.